Del mio essere traditore

Del mio essere traditore dirò innanzitutto che non lo sono per convinzione ideologica ma per reazione panica. Fondamentalmente si tradisce solo una cosa: il valore borghese del possesso, corruzione sociale avviata con l’introduzione dell’agricoltura. Così abbiamo tutto il seguente ciarpame: il mio orto, mia madre, mio figlio, mia moglie, la mia casa, la mia patria, il mio cane, il mio Dio, il mio giardino, il mio amico, la mia macchina, etc.

Io ho iniziato a tradire a nove anni circa, e la prima persona a farne le spese fu la figura materna.

Registrai di nascosto il suo parlar male di certe persone a cui feci successivamente ascoltare il nastro. La sera la genitrice piangeva per l’amara delusione che le aveva procurato il mio gesto. Il pater familias le diceva: queste cose le fa perché si vede le telenovele con tua madre, deve finire questa storia. Certo, caro padre, proprio perché assimilavo le dinamiche delle telenovele io vi tradivo, e non perché sentivo di non essere una vostra proprietà.

Qualcuno mi ha fatto notare che la mia condotta è cattiva e che merito di essere solo, perché nessun savio di mente si accompagna a un traditore. Ma io non tradisco perché mi piace farlo, nemmeno perché mi conviene secondo la concezione borghese di Stirner, non tradisco perché ho fatto del tradimento un credo. Io tradisco per spirito di liberazione.

Una sera, invitato a cena da un tizio che ci teneva tanto ad avermi come amico, con fare allegro presi a corteggiarne la moglie. Era così bella che non potevo esimermi dal lusingarla e nelle mie intenzioni vi era la voglia di fornicare con lei sul suo talamo nuziale. Ella ricambiava il mio lezioso dire esprimendo un interesse sottile, come partecipando a una nascosta intesa, fino a quando il marito mi prese da parte.

Che fai?, mi chiese a brutto muso, batti i pezzi a mia moglie davanti a me e a casa mia? Ecco il valore borghese che scalpitava con mio e mia.

È una creatura eccellente per beltà e spirito, come posso trattenere tale impulso?, tentavo di spiegargli.

Esci da casa mia, e tu saresti un amico?, ringrazia che non ti piglio a sberle, gli amici queste cose non le fanno.

L’amicizia, come l’amore e altri elementi semantici, per lo spirito borghese è, né più né meno, uno strumento astratto (proprio della morale) per esercitare il predominio. Ma io non appartengo ad alcunché.

Nello spiraglio lasciato dalla porta di casa che si chiudeva davanti al mio grugno vidi la moglie dell’ormai ex-amico lanciarmi uno sguardo languido che io ricambiai con occhio cupido. Come dire: tradimmo fino all’ultima goccia.

Una volta un tale, venuto a sapere questa e altre storie sul mio conto, mi disse: schifoso, in pieno nazismo saresti capace di far arrestare una famiglia di ebrei. Ci andò pesante con questo paragone, non vi pare? Tuttavia non aveva capito nulla del mio essere un traditore.

Non tradisco perché sono malvagio, non stipulo patti per il piacere di disattenderli con un colpo mancino, non tradisco a prescindere, non tradisco di soverchio, io tradisco quando l’anello borghese mi stringe troppo il collo e bisogna che lo spezzi gonfiando di lussuria e di contraddizione la vena giugulare.

Ecco, sarebbe sgradevole per me essere equivocato, io non deifico il tradimento, lo so che esso è solamente l’altra faccia del conio borghese; così, piuttosto che essere a favore di certi valori fasulli che a volte sei pur costretto ad abbracciare, preferisco col senno di poi parteggiare per quelli che per affinità gli vanno contro.

Ora permettetemi l’ultimo atto, ovvero il tradimento di me stesso. Infatti tutte le persone che ruotano attorno alla mia vita non possono in alcun modo tradirmi perché alcune le ho perse avendole tradite io stesso, le altre restanti le ho liberate col mio non aspettarmi nulla dalla loro condotta. Ma io ho bisogno di essere tradito, così scardino l’ultima tentazione: la proprietà di me stesso e la sua salvaguardia.

Scusate se emetto rantoli orgasmici, non potete immaginare il godimento che provo nel pubblicare tutte queste esternazioni per il solo gusto di tradirmi. Sapeste che palpitazioni piacevoli mi pervadono il petto! Quanto è bello tradire sé stessi! Quanto… oh, ma che dico. Me la voglio dare a bere da solo? Non provo alcun piacere a tradirmi, sento esalare i fumi esiziali dell’angoscia. È terribile vivere così, è un’esistenza miseranda. Mi guardo dietro e vedo tutta una scia di facce ingrugnite che non me l’hanno perdonata. Davanti a me un deserto di anime che si guardano bene dall’aver a che fare col sottoscritto. Dentro di me il rumore incessante e petulante di una foglia secca che gira su sé stessa, a vuoto, sospinta dal mulinello del mio vano pensare. Sì, è vero, ho tradito me stesso, e che vi devo dire… va bene, va bene, lo ammetto: ci sono rimasto parecchio male.

Testo e disegni di Dario Faggella © 2024