Le due falene

Questa è la storia di due amici che si ritrovano dopo vent’anni. Lui mi cerca tra la gente, a San Giovanni, e ogni persona che inquadra è una mia metamorfosi. Io lo riconosco sulla linea dell’orizzonte, la sua piccola sagoma nera e schiacciata che mi annusa a mezz’aria. Dobbiamo bere, ci diciamo, ancora prima di salutarci, ma Roma è cambiata, ubriacarsi buttati sul ciglio della strada come facevamo un tempo non è più possibile, il decoro urbano non ci vuole vedere col vetro in mano.

E allora i due amici vanno al supermercato, svuotano una bottiglia di rum in due bottigliette di Coca, e si mettono a sbevazzare su una panca pubblica tra i locali gremiti del Pigneto.

Il dialogo all’inizio è controllato, ci sono tante cose da dire, ma poi siamo come rapiti da qualcos’altro, non rispondiamo più di noi stessi, e iniziamo a manifestare scomposti i nostri reciproci sentimenti, prendiamo a barcollare tra la gente con una busta della Conad in mano, in cui custodiamo la spazzatura finora prodotta. Pisciamo in tutti i bagni dei locali, chiedendo il permesso con esagerata prostrazione, dicendo cose come: servo vostro, in cambio vi lavo i bicchieri, e siamo accolti ovunque con un sorriso, perché l’educazione anche se obliqua è sempre la benvenuta. Poi però i due amici si stancano di chiedere permesso, e iniziano così a urinare contro i muri, le ruote delle macchine, i cespugli, hanno nel didentro così tanti umori da espellere che l’intera cloaca urbana sembra non bastare a contenerli.

A noi si aggiungono barboni e svitati, li attiriamo come mosche, perché siamo il collante dei diseredati della società; diamo guazza a sdentati e balbuzienti, e teniamo concioni infarcite di periodi sgrammaticati e senza senso. Finisce sempre tutto in discussioni futili, e da fuori siamo senz’altro un consesso di animali che si esprimono in versi sgraziati.

Ma adesso dobbiamo proseguire il cammino, nella notte, e quindi ci allontaniamo, abbiamo dei piani che non posso rivelare, e Roma diventa sempre più scura, più desolata e disabitata. I due amici stanno errando sulla Palmiro Togliatti, per strade dissestate, tra anabbaglianti veloci che si stagliano sugli edifici sporchi e zone d’ombra in cui nidificano grumi di silenzio sospetto, e i due giovani uomini vanno con il loro ciaramellare vacuo che si disperde tra le schifezze del marciapiede.

L’umidità ci si è infilata proditoria nella schiena, e ora siamo all’interno di una vasta area non illuminata.

Si sentono voci belluine che ci richiamano da angoli remoti e bui, e ci diciamo: che vogliono da noi? I nostri soldi? La nostra carne? Ormai è tutto nero, come le nostre menti obnubilate, c’è solo freddo e miseria e i nostri piani sono falliti. Vorrei abbandonarmi sulla sterpaglia, è un buon posto per morire, dico, ma il mio amico mi incoraggia a non mollare, perché più in là brillano delle luci e non tutto è perduto.

Questa è la storia di due falene che volitano insieme verso le luci della città.

Testo e disegni di Dario Faggella © 2024