Elogio della monofagia

Io sono un monofago. Questo non significa che mi cibo di un solo alimento come si trova scritto da qualche parte, bensì che mi piace mangiare da solo. È seccante per noi monofagi rispettare i ritmi dei commensali, reputiamo scandaloso aprire le fauci e masticare davanti ad altre persone. A me personalmente, poi, non piace nemmeno mangiare seduto perché mi è comodo invece masticare e deglutire in piedi, in quanto mi risparmia la fatica di sistemare, sparecchiare e ripulire piatti e posate.

Ma oggi mi hanno costretto al pranzo di Ferragosto, insieme a non so che cugini e vecchie zie, cosa che mi ha frustrato fino a sentirmi male. Così a tavola ho preso a bere per fugare la noia ma, ahimè, ho iniziato anche a parlare e a dire un mucchio di sciocchezze per puro spirito di provocazione.

Così mi sono intromesso nel discorso che verteva sull’importanza delle bestie da compagnia dichiarando che l’animale più stupido sulla faccia della terra era, a mio avviso, il cane. Un ragazzino più in là mi ha risposto meravigliato: «Ma no, è l’animale più intelligente».

«No», l’ho allora contraddetto, «il più intelligente è la scimmia, il più stupido è invece il cane».

Siccome non mi prendevano sul serio mi sono spiegato meglio: «Quale animale con un po’ di sale in zucca crederebbe con così tanto orgoglio all’importanza del proprio verso? Nessuno, neanche l’asino. L’unico animale che ha deificato il proprio emettere suoni è il cane, che abbaia ininterrottamente credendo che il suo latrare meriti l’attenzione degli esseri viventi, delle piante e persino delle stelle, che invece si mostrano totalmente indifferenti. Così, tutto convinto del valore del suo gridare invano, disconosce l’importanza del silenzio, virtù che in verità è propria degli esseri viventi intelligenti, come il gatto ad esempio, che miagola usando il verso medesimo solo come strumento, ovvero per comunicare: datemi da mangiare, aprite la porta, fatemi una carezza. Per il resto vive muto. Il cane no. Al cane passano tante sciocchezze per il piccolo cervello che ha avuto in dotazione e lui crede sia necessario urlarle tutte, ripetendole financo, per rimarcare il concetto vuoto. Avesse almeno il suo ruglio la bellezza del canto del lupo da cui è decaduto come un angelo scacciato! No, il suo scartavetrarsi la gola è secondo, per bruttezza, solamente allo strillo strozzato del gallo!».

Tutte queste cose andavo dicendo senonché i miei commensali hanno preso inviperiti a difendere l’utilità dell’abbaiare del cane, cosa che me li ha mostrati per quelli che erano, dei meschini borghesi, e allora gliel’ho detto, ché tanto il vino aveva sciolto le briglie del mio sproloquio, così i miei famigliari mi hanno portato via riempiendomi di contumelie per la brutta sortita del pranzo.

Giunto a casa, gonfio di alcol, mi sono buttato sul letto per dormire di un sonno brutale. Nel sogno che si è sviluppato da esso mi ritrovavo supino su una trave di legno sospesa nel vuoto e mi dicevo: «Devo andarmene da qui o morirò». Ma ecco arrivare un grosso cane che, tutto silenzioso, mi si avvicinava da altre travi sospese per l’aere e mi puntava quindi il muso tubolare sul mio viso, senza emettere un solo ringhio, e mi pareva che mi opprimesse e mi facesse suo. Allora gli dicevo: «Non parlerò mai più male dei cani, te lo prometto, ma lasciami andare». Quello però mi dominava silente col solo puntarmi il nero naso umido addosso. «Te lo giuro», gli dicevo frignando ancora, «d’ora in poi dei cani esalterò solo l’infinita sapienza!». Allora la grossa bestia se ne è andata con passo superbo, dandomi la possibilità di alzarmi in piedi sulla trave su cui ero costretto e però precipitare subito dopo nel vuoto, sensazione vertiginosa che mi ha risvegliato in modo sgradevole.

Avessi mangiato un panino per conto mio, capite bene, avrei di certo passato un Ferragosto più che decente.

Testo e disegni di Dario Faggella © 2024