La tirannia dei gatti

Ho lasciato la finestra di casa aperta e quando sono rientrato ho scoperto che per quel passaggio si erano infilati parecchi gatti randagi. Non sono riuscito a cacciarli, ogni volta si nascondevano bene negli angoli delle stanze; poi hanno preso padronanza.

Il loro passatempo principale era rovesciare gli oggetti dagli scaffali, dalle mensole, dai ripiani, dai tavoli, dai mobili. Due colpi di zampa e qualcosa si ritrovava per terra. Ho passato notti intere cadenzate dal rumore di roba che rovinava sul pavimento. Io poi ci camminavo attraverso, a volte la calpestavo, non me ne importava più molto.

Solo i loro occhi che mi scrutavano al mio passaggio mi destavano un po’ di disagio; mi fissavano con le pupille sgranate, l’iride contratta, e la muscolatura dei loro corpi elettrici tesa, come se fossi una possibile minaccia.

Questo all’inizio, poi hanno preso a darmi le spalle.

Il fetore che c’era della loro piscia era mefitico.

Avrei dovuto riprendere in mano la situazione, ma questi gatti si sono fatti via via più insolenti e aggressivi. Una mattina, infatti, ho fatto per alzarmi dal letto e uno di loro mi ha soffiato. Ho riprovato ed ecco il ruglio isterico di gola proveniente da un persiano sul mio comodino, seguito da una vigorosa soffiata, a bocca spalancata, come a mostrarmi la perniciosità dei suoi denti acuminati.

Ero costretto a letto da una minaccia persistente.

A volte mi passeggiavano sopra il corpo supino, oppure mi si acciambellavano accanto. Ero sotto la loro tirannia.

Un giorno ho preso coraggio e mi sono alzato nonostante gli striduli avvertimenti; neanche due passi e sono stato inghiottito da un micidiale nugolo felino. Ero ricoperto dai loro corpi pelosi e tesi, falcidiato dai punteruoli delle loro fauci e dai ganci dei loro arti a molla, le mie orecchie erano violate dalle loro strida di guerra, e mi urinavano addosso per controfirmare il loro attacco. Poi, stremato per terra, sbrindellato e scorticato per bene, ho sentito gli stessi miei aguzzini annusarmi morbosi con i loro nasi bagnati, e dunque hanno pigliato a leccarmi le ferite, a darmi sollievo con il balsamo delle loro lingue raspose e taumaturgiche.

Allora sono uscito di casa a carponi, trascinandomi, con i loro queruli miagolii di dietro a salutarmi, e sul marciapiede ho ripreso pian piano a camminare.

Da lontano vedevo tutti questi gatti fissarmi silenti, sornioni, senza neanche una facella di vita a vibrare negli opali vitrei dei loro occhi baluginanti.

Testo e disegni di Dario Faggella © 2024